Chi stabilisce, tra centinaia di orologi, quale sia il migliore? È l’innovazione tecnica a contare davvero, o il design, la qualità artigianale, la storia di un marchio? Perché due colossi del lusso come LVMH e Richemont lottano per avere ciascuno il proprio premio? E soprattutto: come può il Gran Prix d’Horlogerie de Genève dichiararsi il premio che celebra i migliori orologi dell’anno, se sono assenti i preferiti del pubblico come Rolex, Patek Philippe e Omega?
Queste sono alcune delle domande che ci siamo posti e che ci hanno spinto a entrare più nel dettaglio dei meccanismi che regolano i più importanti Awards dell’orologeria.
Gli “Oscar” degli orologi: il Gran Prix d’Horlogerie de Genève
Il più celebre e ambito tra i premi è senza dubbio il Gran Prix d’Horlogerie de Genève (GPHG), spesso conosciuto come l’“Oscar dell’orologeria”. Fondato a Ginevra nel 2001, con l’obiettivo dichiarato di «onorare e promuovere l’arte dell’orologeria», è diventato negli anni il principale palcoscenico, un rendez-vous annuale che non si limita solo a premiare i migliori orologi in una ventina di diverse categorie, ma contribuisce a costruire una sorta di canone contemporaneo dell’orologeria.
I due cardini della macchina organizzativa sono l’Academy e la Giuria, che riunisce trenta membri provenienti dall’Academy, metà sorteggiati e metà nominati dal Presidente, in modo da garantire un equilibrio tra competenze diverse, rappresentatività e autonomia di scelta. Tra le centinaia di candidature provenienti da tutto il mondo, la Giuria seleziona una rosa di finalisti che dovrebbe rappresentare l’eccellenza della produzione contemporanea, e poi decreta un unico vincitore per categoria – tra cui il riconoscimento più prestigioso e il trofeo più desiderato è l’Aiguille d’Or.
IWC Schaffhausen’s Portugieser Eternal Calendar, vincitore dell’Anguille d’Or 2024.
The Cartier Prize for Watchmaking Talents of Tomorrow
Da sinistra, i vincitori con le loro opere: Marta Maziers, Yann Mayer, Coline Riondet, Hugo Mandrillon, Samuel Pauly, Simon Girard, Valentine Gredzynski. ©Victor Picon
Meno conosciuto rispetto al Gran Prix, ma fondamentale per comprendere come le Maison coltivino il futuro del settore, il Cartier Prize for Watchmaking Talents of Tomorrow nasce nel 1995 su iniziativa dell’Institut Horlogerie Cartier e si rivolge a studenti e apprendisti delle scuole di orologeria di Svizzera, Francia, Germania e (dal 2024) Belgio, con lo scopo di offrire loro un’opportunità di formazione.
Due le categorie, ben definite: Apprentices, dedicata agli apprendisti orologiai, e Technicians, rivolta agli studenti di microtecnologia e discipline affini. Uno solo il tema proposto da Cartier ogni anno che i candidati devono interpretare partendo da un movimento base (nel 2024, quello di un orologio da tavolo Cartier all’interno del tema Magic of the Senses).
Valutando non solo la precisione tecnica ma anche la creatività e la capacità di immaginare nuove funzioni sensoriali, una giuria di cinque membri seleziona dodici finalisti, ai quali vengono concesse 80 ore, distribuite nell’arco di due mesi, per sviluppare il progetto con il supporto di mentori esperti. Oltre a un preziosissimo orologio Cartier, i vincitori ottengono l’accesso a stage e periodi di formazione nelle manifatture della Maison, un’occasione che può davvero segnare l’inizio di una carriera.
Da sinistra: il primo premio per la categoria Apprentices, Marta Maziers e La Reine du Temps; Il primo premio per la categoria Technicians Hugo Mandrillon e Œil du temps.
Louis Vuitton Watch Prize for Independent Creatives
A sinistra Raúl Pagès, vincitore della prima edizione dell’LV Watch Prize, con Jean Arnault, Director of Watches di Louis Vuitton.
Più recente e con un respiro decisamente globale, il Louis Vuitton Watch Prize for Independent Creatives è stato istituito nel 2023 da Jean Arnault, Director of Watches di Louis Vuitton, per intercettare artigiani e micro-brand che spesso operano lontano dai riflettori e offrire loro non solo visibilità, ma anche strumenti concreti per crescere.
Il bando biennale è rivolto a orologiai indipendenti, designer e piccoli atelier, valutati secondo cinque criteri chiave (Design & Aesthetics, Creativity & Audacity, Technical Innovation, Details & Finishings, and Complexity) da una giuria di cinque esperti composta da rivenditori, collezionisti, giornalisti specializzati, artisti, artigiani, designer e altri appassionati.
Uno degli aspetti più interessanti di questo premio è la sua rara apertura: accoglie partecipanti da ogni parte del mondo, dai maestri orologiai affermati come Bernhard Zwinz e David Candaux ai giovani marchi emergenti cinesi come Behrens e Fam Al Hut, ed è capace di mantenere la competizione intensa e stimolante perché i candidati non sono rinchiusi in categorie arbitrarie, ma si confrontano in un unico alveo di eccellenza.
Oltre a questo, il premio stesso ha un significato concreto e tangibile: al vincitore viene assegnato, oltre al trofeo in argento e al premio in denaro (150.000€), un percorso di mentorship di un anno presso La Fabrique du Temps con Michel Navas e Enrico Barbasini, pensato come accompagnamento strutturato e personalizzato che consente concretamente di trasformare le visioni orologiere dei vincitori in realtà.
Gran Prix d’Horlogerie: perché Rolex, Omega e Patek Philippe non partecipano al concorso
Visto in questa prospettiva, il quadro appare ben strutturato e quasi idilliaco, come se ogni premio occupasse un ruolo preciso e uno spazio definito in una logica complementare: il Gran Prix legittima l’eccellenza presente come riconoscimento di prestigio istituzionale; il Cartier Prize costruisce il talento del futuro formando le promesse emergenti; il Louis Vuitton Watch Prize sostiene la creatività indipendente in uno sforzo di mecenatismo che funziona da incubatore di audacia e innovazione.
Ma non è strano allora che leader come Rolex, Omega o Patek Philippe preferiscano restare fuori dal gioco? Rolex, per esempio, non ha mai preso parte a una cerimonia del Gran Prix, nonostante il marchio “fratello” Tudor abbia vinto il Petite Aiguille nel 2017 e in altre due categorie negli ultimi tre anni. Patek Philippe partecipava nei primi anni (vincendo due Aiguille d’Or con il ref. 5102 Ciel Lune nel 2002 e il ref. 5101 P 10 Jours Tourbillon nel 2003), ma è assente da più di un decennio.
Allo stesso modo Omega, che dopo la vittoria del Revival Watch Prize nel 2014 con lo Speedmaster Dark Side Of The Moon non partecipa da qualche anno, e Audemars Piguet, la cui assenza è forse più sorprendente considerando i molti premi raccolti negli anni.
Il valore dei premi dell’orologeria
Grand prix de l’horlogerie de Genève, 10 novembre 2022. @nicolaslieber
Quindi in effetti è vero – ognuno ha il suo spazio, la propria zona d’interesse. Come non ha senso chiedersi se i Bafta, gli Oscar e gli Emmy si sovrappongono tra di loro sovraffollando uno spazio, non credo che analizzare il raggio di azione di questi premi sia la domanda giusta. Non credo abbia nemmeno senso chiedersi se i premi abbiano un valore intrinseco, perché senza dubbio ce l’hanno.
Il Gran Prix è una vetrina in grado di modificare gli equilibri e le richieste di mercato. Leggerlo con uno sguardo critico, accettando il suo ruolo di prestigio e legittimazione, aiuta a capire che funziona come uno specchio dei gusti e come catalizzatore di notorietà.
Così concepito, il Cartier Prize è uno strumento strategico di formazione e selezione, con cui una grande maison come Cartier ribadisce la propria responsabilità nella trasmissione del savoir-faire, ma soprattutto la volontà di fare un investimento diretto sulle mani e sulle idee che costruiranno l’orologeria di domani.
Il Louis Vuitton Watch Prize è a sua volta una strategia mirata a consolidare una certa reputazione culturale, un’idea del marchio come mecenate promotore di talenti e punto di riferimento creativo. L’LVMH Prize for Young Fashion Designers, in questo senso non fa che rafforzare il ruolo del brand nell’industria del lusso e conferire un’aura di autorevolezza.
Louis Vuitton Watch Prize 2025-2026 semi-finalist.
I premi rappresentano riconoscimento, visibilità e legittimazione: stabiliscono un canone riconosciuto che influenza il mercato, i collezionisti e il pubblico. Sono però, paradossalmente, costruzioni arbitrarie: dietro le giurie ci sono logiche culturali, economiche e politiche, e pareri personali che ne impediscono la neutralità. Non sono La verità assoluta, ma una forma di interpretazione ufficiale di un settore, il cui valore reale sta nella capacità di mantenere viva l’attenzione sul mondo delle lancette. Piacciano o no, rimangono momenti in cui una comunità si guarda allo specchio e si racconta.
È un paradosso, questo, che forse non si può riconciliare del tutto, ma che diventa addomesticabile quando si accetta che il valore reale dei premi sta nella loro capacità di creare un racconto condiviso, di mantenere viva la conversazione su opere che altrimenti resterebbero marginali e di orientare – con tutte le loro storture – mercati e pubblici.
In fondo, è lì che il discorso trova equilibrio: quando smettiamo di chiedere al premio di essere giusto in senso assoluto e decidiamo di usarlo a nostro favore come leva culturale e strumento narrativo, cioè come pretesto per riflettere sul presente.
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