Se pensavate che il deserto non potesse offrire null’altro che aridità e desolazione, vi sbagliavate. Questa è la storia di un segnatempo a dir poco mitico, che ha visto la luce proprio nel suddetto luogo. Ci sono orologi che nascono per essere venduti. Altri per essere collezionati. Ma poi, raramente, c’è un orologio che nasce per essere vinto, e soltanto da chi osa attraversare l’inferno di sabbia.
Il Cartier Cheich non è solo un segnatempo: è un trofeo, una reliquia, un frammento tangibile di leggenda. Realizzato in appena quattro esemplari (più uno creato anni dopo, in segreto), il Cheich è tra gli orologi più rari e misteriosi mai prodotti dalla Maison parigina. Eppure, dietro il suo splendore in oro, batte il cuore pulsante della Parigi-Dakar, la corsa più folle e crudele che l’uomo abbia mai inventato.
La storia del Cartier Cheich
Siamo nel 1983. Il mondo è ancora affascinato dal romanticismo brutale della Parigi-Dakar, una gara epica attraverso migliaia di chilometri di sabbia, pietra e silenzio mortale. Il suo creatore, Thierry Sabine, è un visionario: un uomo che sogna un rally dove il cronometro è meno temibile dei nemici. Insieme a Alain-Dominique Perrin, presidente di Cartier, decide di creare un premio che possa resistere al tempo come le dune resistono al vento.
Nasce così la Cartier Challenge: un’impresa quasi impossibile. L’unico modo per vincere l’orologio Cartier Cheich è trionfare per due anni consecutivi nella stessa categoria del rally. Un’impresa titanica, che nessuno osa considerare probabile. Ma questo è proprio il punto: non si regala il Cheich, lo si conquista con fatica, sudore, rischiando la morte.
Il design del Cartier Cheich
Il design del Cheich è un tributo sublime alla Tagelmust, il copricapo tuareg che protegge i nomadi del deserto dal sole implacabile. La tagelmust è una lunga fascia di cotone, lunga di solito tra i 3 e i 5 metri, ma che può arrivare anche a 12 metri, avvolta sul capo e sul viso dei Tuareg in modo da formare al contempo un turbante ed un velo che copre il volto lasciando libera solo una fessura per gli occhi. Il logo della Parigi-Dakar lo rappresenta stilizzato: una figura velata, misteriosa, emblematica. Da quel logo nasce l’orologio.
A firmare lo stile è Jacques Diltoer, mente creativa della Cartier di quegli anni. Il risultato è un capolavoro asimmetrico, costruito in una sinfonia di oro giallo, rosa e bianco. Le curve della cassa richiamano i drappeggi del cheich, le dune del deserto. Non esistono spigoli. Tutto è fluido, quasi organico.
Il quadrante, sobrio e perfettamente bilanciato, è incorniciato da una minuteria rettangolare in stile classico della Maison, ovvero Chemin de Fer, e una corona con cabochon blu, chicca distintiva che troviamo su ogni Cartier.
Il Cartier Cheich è adotta un movimento manuale basato sul calibro FE 664 Realizzato da Frédéric Piguet, all’epoca parte della stessa rete di fornitura di Cartier, (non al quarzo tranne che per il quinto esemplare), e riflette l’approccio artigianale e raffinato della Maison nel creare segnatempo su commissione altamente personalizzati e ricchi di storia come questo.
Gaston Rahier, l’unico vincitore dell’inestimabile premio
Il destino ha voluto che un solo uomo fosse degno del Cartier Cheich. Il suo nome è Gaston Rahier, campione belga di motocross che nel 1984 e 1985 trionfa nella categoria moto, in sella alla sua BMW. Piccolo di statura ma gigantesco per talento, Rahier riceve l’orologio dalle mani stesse di Perrin.
Il Cheich diventa parte della sua storia. Rahier lo conserva con cura, lontano dai riflettori. Dopo la sua morte, l’orologio resta custodito in famiglia per oltre trent’anni, fino a quando viene battuto all’asta da Sotheby’s nel settembre 2022 per la cifra record di 1,1 milioni di dollari. L’unico Cheich effettivamente “vissuto”, l’unico ad aver lasciato la sabbia per brillare nelle teche dei collezionisti.
Il Cartier Cheich oggi
Cartier produsse ufficialmente quattro esemplari: quello di Rahier nella versione maschile, una variante più piccola con diamanti destinata alla categoria femminile e un secondo maschile mai assegnato (entrambi custoditi nella collezione storica di Cartier), infine un esemplare consegnato a Thierry Sabine, forse come omaggio simbolico, oggi considerato perso dopo la tragica morte del fondatore in un incidente aereo nel 1986.
Ognuno di questi orologi è un universo a sé. Nessuno è identico all’altro. Sono oggetti nati per sfidare il tempo, ma anche la probabilità
Nel 2010, silenziosamente, Cartier realizza un quinto Cheich, su richiesta del collezionista italiano Giorgio Seragnoli. In oro bianco e con movimento al quarzo, è un unicum assoluto. Sul fondello, inciso “No. 1”, quasi a voler dire che, pur essendo l’ultimo, ha una dignità tutta sua. Cartier non ha mai più replicato il modello, né lo farà (noi speriamo vivamente nel contrario).
Questo Cheich è l’anello mancante. Non è parte del mito originale della Parigi-Dakar, ma ne è la celebrazione moderna. È il riconoscimento postumo di un’icona, destinato a brillare nel silenzio delle collezioni private.
Cartier è noto per molte creazioni iconiche: il Tank, il Santos, il Ballon Bleu, ma nessuno di questi ha la forza narrativa del Cheich. È un orologio che non si può comprare, se non quando la storia stessa lo consente. Non è nato per adornare i polsi degli uomini d’affari o dei divi di Hollywood. È nato per unire il savoir-faire della gioielleria parigina alla brutalità della sabbia africana.
Non ha mai avuto una produzione industriale. Non è mai stato pubblicizzato. Non si è mai visto in vetrina. Eppure, oggi, ogni grande collezionista sogna di possederlo, o almeno, di riuscire ad avvicinarsi per toccarlo. Il Cartier Cheich rappresenta ciò che manca oggi a molti oggetti di lusso: un senso di conquista autentica. In un mondo in cui il valore è spesso determinato dal prezzo di listino o dal marketing, questo orologio ci ricorda che ci sono cose che il denaro non può comprare, almeno non subito.
Conclusioni
Insomma, il Cheich è come un miraggio nel deserto cocente: chi lo vede, ne resta incantato; chi lo possiede, sa di custodire un frammento raro e irripetibile di storia.
Il Cartier Cheich è più di un orologio raro. È un simbolo di tenacia, di coraggio, di eleganza estrema fusa al sacrificio. È una lettera d’amore scritta nella sabbia e forgiata in oro. È il tempo che passa tra una vittoria e l’altra. È la bellezza di un oggetto che non si limita a segnare le ore: racconta un’epopea.
E in quel racconto, ogni curva della cassa, ogni riflesso del metallo, ogni linea del quadrante ci ricorda che l’orologeria, quando è legata ad una storia, ad una leggenda, può diventare eternità.
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