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Gli Omega Speedmaster Alaska Project: La Storia Di Un Mito

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15 Dicembre 2022
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007, le olimpiadi, George Clooney, Omega è questo e tanto altro, ma il masterpiece per eccellenza, quello per il quale la maison è maggiormente riconosciuta in tutto il mondo è e rimane indubbiamente lo Speedmaster.

È un fil rouge decisamente marcato quello che definisce uno dei triangoli più fortunati e magici della storia dell’orologeria. Ai tre vertici, manco a dirlo, il casato di Bienne, l’agenzia spaziale statunitense e tutto ciò che riguarda il volo spaziale.

Business, commercio e moda, sebbene aspetti noiosi e ripetitivi, prendono anche in questo caso il sopravvento, lasciando come sempre a pochi il gusto di andare a scoprire la parte tecnica e le storie che stanno dietro le quinte.

Una delle linee Speedy che suscita più di tutti la nostra curiosità è rappresentata senza alcun dubbio dall’Alaska Project.

Watch Analytics Wednesdays: Omega Speedmaster Limited Editions
Speedmaster Alaska Poroject 2008. Credits: timeandtidewatches.com

Le origini

Equipaggio missione Mercury Atlas 8. Credits: wallyshirra.com

Come abbiamo accennato in precedenza la connessione che lega lo Speedmaster, e con esso tutte le sue declinazioni negli anni, al volo spaziale è qualcosa che va oltre la leggenda. E pensare che fu quasi una casualità quando Walter M. Shirra jr, astronauta americano di origini svizzere, volò con il suo Speedy personale a bordo della missione Mercury-Atlas 8 nel 1962 senza nemmeno che Omega fosse consapevole della cosa. La leggenda vuole che i dirigenti della maison si resero conto dell’impresa vedendo una fotografia dell’astronauta che indossava proprio la referenza CK 2998-4 in questione…

Lo spartiacque vero e proprio si ebbe nel 1965 quando Omega insieme a Rolex, Longines e Hamilton si presentarono ufficialmente ai nastri di partenza per la gara allo spazio…

NASA Testing Regime for the Omega Speedmaster Moonwatch
Certificato di qualifica per il volo spaziale. Credits: twentytwoten.com

Il programma di test della NASA, più rigido di una scuola di danza classica sovietica, univa svariate tipologie di prove, tra cui una leggera (si fa per dire ovviamente) sequenza di 6 shock da 40 G ciascuno. Roba da tipi tosti che il casato di Bienne con la referenza 105.003 superò brillantemente con estrema nonchalance.

Ma spingiamoci oltre avvicinandoci in maniera più specifica all’obiettivo: le condizioni estreme alle quali si sottopone il veicolo spaziale variano davvero di molto, basti pensare che nei circa 390.000 km che dividono la Terra dalla Luna il modulo si riscalda fino ai 200 °C in corrispondenza del lato esposto al sole mentre si raffredda fino a -100 °C sul lato oscuro. Una differenza poco sopportabile dai materiali esposti, superabile solamente grazie all’ingegno dei tecnici della NASA che misero in atto la tecnica del “girarrosto”, navigazione che prevede la continua rotazione del velivolo spaziale lungo l’asse definito dalla rotta di volo, mantenendo in questa maniera una distribuzione uniforme su tutta la superficie della navicella… “cottura perfetta”.

20 Luglio 1969: 50 anni dall'allunaggio - Certifico Srl
Modulo spaziale missioni Apollo. Credits: certifico.com

Innovazione per innovazione in casa Omega non potevano di certo rimanere a guardare. Fu così che all’interno dei laboratori di Bienne misero in piedi una delle joint venture più strane e fortunate della storia, composta da mastri orologiai e tecnici dei materiali tutti uniti da un solo obiettivo, sviluppare un orologio spaziale in grado di affrontare tutte le condizioni estreme che un ambiente come quello descritto in precedenza può presentare.

Il progetto prese il nome di “Alaska Project” termine che appositamente, per via della segretezza del protocollo, non doveva richiamare in alcun modo Spazio, NASA e moduli lunari…

Alaska I

Alaska Project I. Credits: Omegawatches.com

Nonostante ne condividesse il calibro, lo storico 861, i tre contatori del crono, le lancette a bacchetta ed in generale la grafica complessiva del quadrante, il primissimo prototipo del progetto, denominato Alaska I referenza 5-003, non possiamo definirlo come un vero e proprio Speedmaster. La cassa a coussin del segnatempo è realizzata in titanio, materiale ultra resistente agli sbalzi di temperatura con un peso del 40% inferiore rispetto all’acciaio. Il diametro del quadrante, per aumentare la visibilità, passa da 42 a 44 mm.

L’asimmetria della cassa si presenta più bombata sul lato della pulsantiera del crono dolcemente compensata dalla siluette convessa del lato sinistro. Come potete notare a discapito della classica lunetta tachimetrica l’incremento di tempo è affidato al rehaut interno. Particolarissime le sfere dei piccoli contatori del crono che richiamano in tutto e per tutto la forma del modulo spaziale, per la serie “non deve richiamare lo spazio”…

Alaska Project I Fondello. Credits: Omegawatches.com

Una delle caratteristiche più sorprendenti del segnatempo però è la sua “cover” chiamiamola così, in alluminio appositamente utilizzata come scudo termico dell’orologio. Dai test effettuati risulta che il solo orologio, non protetto dalla cassa esterna, ed esposto ai raggi solari passa da una temperatura iniziale di 40 °C a una temperatura finale di 106 °C in 3 ore di esposizione. Se protetto dallo scudo invece, alle medesime condizioni di esposizione, si riduce l’incremento di temperatura di circa il 75%.

Alaska Project I pulsanti. Credits: Omega

Considerato che il quadrante non poteva certamente essere coperto dalla struttura è stato rivestito con ossido di zinco bianco in maniera tale da aumentare l’effetto di dissipazione del calore. L’azionamento del cronografo avviene attraverso 2 pulsanti riposti ad ore 2 e a ore 4, mentre il pulsante a ore 6 è utilizzato per l’apertura della cover. La dimensione dei pulsanti risulta molto generosa per favorire l’operatività degli astronauti con mani guantate.

Alaska II

Alaska Project II. Credits: Omegawatches.com

Arriviamo al 1972, l’obiettivo “allunaggio” è stato portato a casa e messo in bacheca. In quei di Bienne, visti gli ottimi risultati ottenuti, si decide con lo Speedmaster Alaska Project II di avvicinarsi ad una formulazione più classica e tradizionale dello Speedmaster.

La referenza prototipo è la ST 145.022 ed il cuore di questo segnatempo è sempre alimentato dal calibro 861. La cassa dell’Alaska II era in acciaio inossidabile, il problema dei riflessi viene mitigato attraverso l’opacizzazione del quadrante attraverso un trattamento di sabbiatura a microsfere. Rimangono invariate la forma delle sfere dei piccoli contatori del crono che richiamano il modulo spaziale di comando. Il colore del quadrante è sempre bianco per dissipare maggiormente il calore. La cover che funge da “scudo termico” rimane pressoché invariata.

Alaska III

Alaska Project III. Credits: Omegawatches.com

Facciamo un balzo nel 1978. Gli anni trascorsi dall’ultimo prototipo Alaska sono circa 8, periodo utilissimo per gli ingegneri di casa Omega, focalizzati specialmente per tamponare i difetti che si portava in pancia l’ultimo modello sperimentale. Il nuovo nato, è in tutto e per tutto parente vicinissimo al classico Speedy, a partire dal quale i tecnici hanno strutturato questa nuova prototipazione.

Allo scopo di facilitare e rendere maggiormente visibile la lettura e la misura del tempo, l’Alaska III viene equipaggiato con un quadrante di più facile ed intuitiva lettura, applicando un particolare trattamento antiriflesso e dettagliando maggiormente la scala dei contatori del crono. Il calibro resta il collaudatissimo 861 che tante gioie ha regalato negli anni.

Singolare constatare come le casse di questo segnatempo siano state prodotte negli USA. Difatti manca all’interno del quadrante ad ore 6 la classica stampa “Swiss Made“. L’applicazione dell’Alaska III all’interno dei progetti spaziali della NASA fu molto ampia nel corso di tutti gli anni ’80, pensate che questo segnatempo ebbe l’onore di essere il primo a viaggiare nello spazio a bordo dello Space Shuttle.

Alaska IV

Alaska Project 2008. Credits: Omegawatches

Se fino ad allora, chi più e chi meno, quasi tutti i prototipi Alaska nascevano e si sviluppavano all’ombra del classico Moonwatch, nel 1978 arriva la vera e propria novità. Uno Speedmaster totalmente innovativo digitale con schermo LCD. Sebbene stiamo parlando di un ultra professionale questo segnatempo riesce a rievocare come pochi altri tutto lo splendore dell’era del quarzo, simile anzi similissimo a quello che i bambini di tutto il mondo portavano al polso negli anni ’80.

La cassa in acciaio inossidabile è caratterizzata da misure decisamente più contenute passando da 42 a 36,5 mm di diametro. I 3 pulsanti per l’azionamento delle varie funzioni sono disposti in maniera canonica sulla sinistra del segnatempo, con la differenza dell’aggiunta di un pulsante a ore 11 per il setting del tempo. Il calibro 1621 è in tutto e per tutto identico al più famoso 1620 utilizzato per gli altri modelli al quarzo del casato, a differenza della sorgente retro illuminante del quadrante, affidata in questo caso a due barre di trizio applicate sotto display a discapito della classica lampadina.

Anche per gli standard odierni la precisione del movimento è davvero impressionante assicurando uno scarto di +/- 5″ al mese. L’Alaska IV come la maggior parte dei sui fratelli prototipi non arrivò mai alla produzione commerciale tuttavia, il grande lavoro eseguito su questo modello fu incredibilmente utile alla realizzazione del primo modello di X-33.

Il nuovo millennio

Alaska Project 2008. Credits: Omegawatches

Sarà che nessuno credesse che l’orologio potesse trovare la sua collocazione nel mercato, sarà per la segretezza che avvolgeva il progetto, ma sta di fatto che l’Alaska Project e con esso tutto il lavoro fatto da Omega e NASA tra gli anni ’60 e ’70 non è mai andato oltre la prototipazione. Il nuovo millennio però è una storia nuova. È il 2008 quando la maison lancia sul mercato la linea Omega Speedmaster Professional Alaska Project” referenza 311.32.42.30.04.001, con una tiratura limitata a 1970 esemplari.

Alaska Project 2008. Credits: Omegawatches

Considerate le sue caratteristiche tecniche ed estetiche, il modello si avvicina moltissimo al progenitore Alaska II. Il quadrante bianco con le tipiche piccole sfere del crono a forma di modulo spaziale rimangono in tutto il loro splendore, la cassa da 42 mm è in tutto e per tutto quella del Professional. Lo scudo termico protettivo è realizzato in alluminio rosso anodizzato, permettendo al segnatempo di resistere a temperature estreme che variano da -150 °C fino a 260 °C. Oltre al classico bracciale in acciaio il modello esce con un cinturino in velcro bianco abbinato, molto simile a quelli degli attuali MoonSwatch.

Conclusioni

Nonostante le differenze di concetto che intercorrono tra i due progetti siano marcatissime, la produzione prototipale degli anni ’60 e ’70 è alimentata esclusivamente da obiettivi tecnici ben definiti, mentre quella del 2008 è puramente commerciale, l’Alaska Project rappresenta indiscutibilmente un’ulteriore testimonianza della suprema qualità, resistenza e versatilità che contraddistinguono gli orologi Omega, marchio che più di tutti probabilmente riesce a capire, cavalcare e sicuramente a soddisfare il mercato internazionale.

Vi lascio con un piccolo consiglio, se possedete uno di questi meravigliosi oggetti e non sapete quando indossare lo scudo termico, vi suggerisco di provarlo sulle piste da sci…farete un figurone.


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